venerdì 14 dicembre 2012

Il Mascarpone e il Natale!

Salve a tutti,

essendo prossimi al Natale, quale periodo migliore per assaporare un'altra "golosità" del mondo del latte... il MASCARPONE.



Il mascarpone è un latticino ricavato dalla lavorazione di crema di latte (o panna) .
È tipico di alcune zone della Lombardia (in particolare Lodi e Abbiategrasso) ed è riconosciuto dal Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali come prodotto agroalimentare tradizionale italiano.
Il nome deriva dal termine dialettale lombardo mascherpa o mascarpia, che indica la ricotta o la crema di latte.
Alcune fonti invece indicano che il nome derivi  da una "esclamazione" pronunciata tempo fa da un rappresentante spagnolo di Sua Maestà Cattolica << mas que bueno>> ( più che buono).
Storicamente il Mascarpone era prodotto nel periodo invernale nella zona del Lodigiano, poiché il freddo ne consentiva la conservazione.Oggi resta comunque un prodotto a breve periodo di conservazione nonostante l'evoluzione della tecnologia produttiva, dal punto di vista igienico-sanitario.
A differenza della maggior parte dei formaggi italiani, che vengono realizzati tramite coagulazione presamica, ovvero attraverso l'aggiunta di caglio al latte, il mascarpone viene prodotto tramite la coagulazione acido-termica della crema di latte (detta anche panna) con un percentuale di grasso intorno al 35%
Nel metodo "tradizionale" la coagulazione avviene attraverso l'aggiunta di acido acetico o citrico 
( o succo di limone) dopo un trattamento termico per 5 o 10 minuti ad alta temperatura, fino a 85-90 °C. 
Questa differente coagulazione  genera la tipica consistenza cremosa del mascarpone. 
Alla coagulazione segue il travaso in "Tele"  che, avvolte a formare fagotti,  vengono  poste in cella frigo per 24 ore a completare la sgocciolatura del siero.

Ha l'aspetto di una crema morbida, consistente, di colore bianco-giallo chiaro, con sapore molto dolce, è altamente calorico. Si tratta di un prodotto da consumare fresco, visto che tende ad irrancidire rapidamente.
Non essendo prodotto con caglio animale, è utilizzato nella cucina vegetariana.
I puristi ritengono migliore il mascarpone "artigianale"( non confezionato industrialmente) e venduto sfuso, in quanto l'ossigenazione ne arricchisce il sapore ed il gusto. Questa tipologia di Mascarpone ha una conservabilità molto breve di max 3-5 giorni.
La necessità di avere disponibile il Mascarpone durante tutto l'anno e l'esigenza di aumentarne la conservabilità sino a tre settimane, hanno richiesto ( nelle produzioni industriali) delle modificazioni alla tecnologia , in modo particolare 
- temperatura del trattamento termico della crema di latte  ( 121°C per 20 min)
- accelerazione dei tempi di spurgo e sineresi
-aggiustamento del pH  e aW ( acqua libera) del prodotto.
- eventuale utilizzo  ( non consentito in Italia) di conservanti attivi contro i clostridium botulino ( nisina) 



ABBINAMENTI GASTRONOMICI

Personalmente, sin da bambino, apprezzo una buona fetta di morbido Panettone con della "crema di mascarpone" preparata con una piccola aggiunta di cacao dolce e un goccio di Liquore Strega.
Ma in pasticceria è utilizzato principalmente nella preparazione del "Tiramisù" o nella crema allo Zabaione.
Altro utilizzo molto apprezzato è nella preparazione casearia della "Torta Zola-Mascarpone".

                            
ABBINAMENTI ENOLOGICI

Con il Mascarpone sono indicati vini bianchi morbidi come il Verduzzo di Cialla o la Malvasia delle Terre Rosse.


Vi auguro allora buona degustazione e ....BUONE FESTE !!!




A presto

lunedì 26 novembre 2012

...della salatura del Formaggio



La salatura del formaggio è una fase importante che condiziona in gran parte la qualità e l’evolversi della maturazione del formaggio stesso.

La fase di salatura serve a:

  • Migliorare il gusto: il sale esalta e copre la sapidità di alcune sostanze che si formano durante la maturazione del formaggio
  • Completare lo spurgo: la salatura favorisce il drenaggio della fase acquosa contenuta ancora nel formaggio, assicurando il mantenimento della consistenza desiderata. Si verifica uno “scambio osmotico” con fuoriuscita di siero (acqua, lattosio, acido lattico e proteine solubili), mentre avviene la penetrazione del sale all’interno del formaggio. Ovviamente non risolve eventuali problemi di spurgo del siero iniziati in fase di “stufatura”.
  • Formazione e consolidamento della crosta: con la penetrazione del sale, si verifica una maggiore perdita di umidità in superficie, dando origine ad un piccolo spessore corticale ( pelle) che con il tempo diventa “crosta” che riveste un ruolo protettivo per il formaggio  contro agenti esterni e contro eventuali perdite eccessive di umidità in fase di stagionatura (calo-peso).
  • Contribuisce ad una selettività batteriologica: il sale ha un effetto, più o meno, inibitorio nei confronti dei diversi batteri presenti nel formaggio ( compresi i batteri lattici).

Esistono  diverse tecniche di salatura:

    1. Salatura a mano utilizzata principalmente per alcuni formaggio a pasta molle   ( Gorgonzola, Taleggio) e consiste nello spargere la superficie del formaggio con del sale alimentare ( fine e/o grosso).
    2. Salatura del latte prima della cagliatura: utilizzata raramente ed esclusivamente da alcuni piccoli produttori di formaggi freschi ( Primo sale, Crescenza, ) e consiste nell’aggiungere una certa quantità di sale al latte caldo, poco prima dell’aggiunta del caglio.
    3. Salatura in pasta: utilizzata principalmente nella tecnologia del Formaggio tipo Asiago e similari, che consiste nel mescolare con idoneo mescolatore la cagliata sul tavolo spersore con una certa quantità di sale. Nel caso della Mozzarella invece si preferisce salare l'acqua di filatura durante l'impasto.
    4. Salatura in salamoia ( salina): può essere impiegata per tutte le tipologie di formaggi: consiste nell'immergere le forme di formaggio in apposite vasche contenenti la salamoia liquida a concentrazioni stabilite di sale e a temperatura controllata per un tempo determinato.

In questo post, vorrei trattare in maniera specifica quest’ultima tecnica di salatura.
Il sistema della salatura in salamoia si presta ottimamente anche alla meccanizzazione, dando migliori risultati anche come regolarità.



Vasca salamoia con sistema di immersione e sollevamento gabbia



Naturalmente bisogna tener conto di alcuni accorgimenti e di alcuni fattori che non bisogna tralasciare:
  • La concentrazione in sale; ad ogni ciclo di salatura, la salina si impoverisce di sale che va quindi reintegrato con aggiunte.  Utile strumento di controllo è il Densimetro – Pesa Sale.
  • La temperatura; maggiore è la temperatura della salina, maggiore sarà lo scambio osmotico rendendo così la salatura maggiormente efficace. C’è però un aspetto pericoloso, e cioè che nelle salamoie a temperature superiori a 15/20°C  possono avvenire fermentazioni secondarie , talvolta dannose per il formaggio stesso. L’eccesso di sostanza grassa trasudata dal formaggio  può occludere la porosità della crosta e ostacolare la penetrazione del sale. Anche le sostanze proteiche solubili possono imputridire la salamoia.La temperatura ottimale deve oscillare tra +8°C e 12°C
  • L’acidità della salina: può variare in relazione al tipo di formaggio immerso. In linea di massima l’acidità ideale dovrebbe essere uguale al pH del formaggio da salare con valori che normalmente si aggirano tra pH 5,1 e 5,3 ( acidità di 10-15 SH/50ml)

La rigenerazione della Salamoia

Quando una salamoia viene utilizzata per diversi cicli, si arricchisce di sostanze organiche che possono dar luogo allo sviluppo di microbi putrescenti, e l’eccesso di calcio, sotto forma di lattato di calcio, può produrre rugosità sulla crosta e apporto di sapore amaro.
Periodicamente bisogna fare un controllo microbiologico sulla salamoia.
In linea di massima quando si riscontrano valori di Lieviti superiori a 1000 ufc/ml, è consigliabile procedere alla rigenerazione.

Per formaggi freschi e delicati, quali Crescenza e Mozzarella, la salamoia andrebbe “rigenerata” ogni 15 gg., per formaggi a pasta pressata ( Toma, Fontal, ecc.) ogni 2 mesi circa, mentre per il formaggio Grana , indicativamente ogni 4-5 mesi.

Alcune fonti consigliano di trattare le “vecchie” salamoie piuttosto che farne una nuova, in quanto presenterebbero delle caratteristiche migliori per la salatura.
Una salamoia nuova comunque, facendo un’opportuna correzione dell’acidità e con una piccola aggiunta di Calcio, darebbe comunque le medesime  performance con la garanzia di aver allontanato eventuali peptidi portatori di cattivi odori e sapori. Si può ricorrere all’uso di “acido lattico”  e  Cloruro di Calcio in ragione del 1/1000.
L’importanza della presenza di Calcio nella salamoia è fondamentale ad esempio nella salatura della Crescenza e della Mozzarella, in quanto in caso di assenza, la salamoia tende a “decalcificare” la superficie del formaggio, provocandone una “peptizzazione” più o meno intensa, con degradazione della “ pelle”  che assorbe acque e tenderà a diventare “limacciosa”.

Esistono vari metodi di rigenerazione della salina:
  1. Trattamento termico tramite riscaldamento a +90/100°C per circa 20/30 min ( in vasca doppio-fondo o scambiatore tubolare), lasciandola poi raffreddare  prima di travasare la salamoia nuovamente in una vasca pulita e sanificata.
  2. Trattamento di filtrazione con sistemi di microfiltrazione e ultafiltrazione; è un sistema efficace,ma costoso a causa dell'ingente investimento economico per l'impianto e che consiste nel far ricircolare la salamoia attraverso l’unità filtrante per diverse ore.
  3. Trattamento di Filtrazione ad alluvionaggio con Pannelli di Fibre di cellulosa.
Quest’ultimo metodo di rigenerazione, garantisce una notevole riduzione di microrganismi  ( rendendola quasi sterile), a condizione di fare un pre-trattamento con un prodotto coagulante neutro ( a base di sol di silice), utilizzato anche in enologia, il quale permette la precipitazione rapida delle siero-proteine , senza andare a modificare la composizione chimica e biologica della salamoia, ottenendo per precipitazione un “residuo/ precipitato” compatto e poco voluminoso che andrà smaltito separatamente.
La salamoia tornerà ad essere nuovamente molto limpida ( chiarificata) e tornerà ad avere un migliore scambio osmotico. Ovviamente per avere la garanzia di un totale abbattimento di carica microbica , sarà necessario procedere ad una successiva micro-filtrazione e/o trattamento termico.


Particolare attenzione poi bisognerà  porre anche a come si ripone immergendo il formaggio nella salina; 
nel caso di saline tradizionali ( statiche) è bene agitare frequentemente la soluzione in quanto a seconda della posizione della forma ( di piatto o peggio ancora a coltello) la concentrazione vicino alla superficie del formaggio varia con il passare del tempo rendendo la salatura difforme.
Una soluzione è quella di muovere e/o ruotare le forme di formaggio galleggianti. In alternativa, dotandosi di apposita pompa di ricircolo, si pesca dal fondo della vasca la salamoia e la si fa ricircolare nella parte alta, in superficie attraverso appositi spruzzi che aiutano a muovere le forme di formaggio immerso ( salamoia dinamica).

Sono disponibile ad approfondire l'argomento.  Alla prossima.

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Risposta al commento di  Valeriano Bordandini:

La salamoia è una soluzione acquosa avente salinità maggiore del 5% composta da  acqua e sale (NaCl) . In ambito caseario si utilizzano salamoie con elevata concentrazione  che si aggira  dal 18 al 20% 
Importante è anche il grado di acidità che generalmente si aggira con valori di pH  compresi tra 5 e 5,30 alla temperatura  tra +8° e 12 °C 

Nelle salamoie è importante la purezza e la qualità dell'acqua utilizzata: la presenza di composti diversi dal NaCl può essere causa di inconvenienti di varia natura; per esempio i sali di magnesio conferiscono sapore amaro.


Periodicamente ( a seconda della tipologia di formaggio immerso) è necessaria una opportuna  rigenerazione / filtrazione  della stessa salamoia.


giovedì 18 ottobre 2012

Caglio animale e non....


Salve a tutti,

per l'argomento di oggi, prendo spunto da un recente articolo redatto da Il Fatto Alimentare 


Arriva il formaggio grana vegetariano senza caglio animale. La nuova versione halal dovrebbe piacere anche a indiani e musulmani



Si moltiplicano i formaggi “Grana” senza caglio animale. L'ultimo in ordine di apparizione si chiama “Il Verdiano”. Si tratta di un prodotto che, per la sua tecnica di produzione, ambisce a trovare sbocchi in aree del mondo – come l’India o i paesi di religione musulmana - dove  per ragioni etiche e religiose non si consumano formaggi stagionati per la presenza di caglio ottenuto dallo stomaco del vitello lattante. E lo stesso vale per i vegetariani, che spesso cercano in etichetta informazioni sul caglio impiegato, ma inutilmente, poiché non c’è l’obbligo di indicarne la tipologia.
Si tratta di novità interessanti perché propongono alimenti tradizionali di grande richiamo con una formula leggermente modificata in grado di soddisfare le richieste di nuove fasce di consumatori.
Il brevetto de "Il Verdiano" appartiene all’Università degli Studi di Parma e a Gisella Pizzin del Dipartimento di Salute animale, mentre il Caseificio Pongennaro S.A.C. di Soragna ha ottenuto una licenza in esclusiva del “Formaggio grana con caglio vegetale (estratto da funghi e/o erbe) e procedimento per ottenere il formaggio”. 
Siamo di fronte a un formaggio che segue il metodo produttivo del Parmigiano-Reggiano: è ottenuto con il latte dalle aziende agricole della zona tipica, nella bassa parmense e anche i parametri chimico analitici sono del tutto simili, con una sola diversità l'impiego di caglio vegetale. Questa differenza però impedisce al Verdiano di essere classificato con il nome del pregiato formaggio DOP.
Il verdiano non è l'unico formaggio "grana" realizzato con caglio vegetale e quindi classificabile come cibo halal (termine che indica gli alimenti "leciti" secondo la dottrina dell'Islam)
Le Fattorie Fiandino nel cuneese, producono il “Gran Kinara” un formaggio duro in forme da 38 kg, utilizzando l'estratto di cardo selvatico come caglio vegetale.
A Vicenza la ditta Soster propone il “Pasta dura” con caglio ottenuto da microbi, in forme da 23 kg.
C'è infine il caseificio Brazzale che propone “Gran Moravia” proveniente da una filiera ecosostenibile della Repubblica Ceca, preparato senza caglio animale in forme da 36 kg.
Giovedì 21 Giugno 2012 ( da Il Fatto Alimentare)


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Dunque, e' noto  che il Formaggio "senza caglio animale"  veniva prodotto sin dai tempi dell'Antica Grecia ( Omero citava nei suoi scritti dell'attività pastorale, che per fare i caci, veniva usato "succo di fico").



Si è poi utilizzato anche " estratto di cardo"
di cui meglio descritto  dall’articolo di Antonio Pirisi, pubblicato su Caseus.it

"Il caglio da cardo, si ottiene mediante l’estrazione con acqua degli enzimi presenti nei fiori (pistilli) di cardi del genere Cynara (principalmente C. cardunculus L., C. scolymus L., e C. humilis L.).
L’estratto acquoso di cardo è termostabile e presenta una elevata attività proteolitica, di molto superiore a quella del caglio convenzionale (caglio liquido di vitello). 
Tuttavia tale caratteristica può comportare riduzioni nella resa casearia e difetti legati al gusto (amaro) e alla tessitura del prodotto."

Nei giorni nostri si torna a parlare di prodotti caseari senza uso di caglio animale, sicuramente in conseguenza dell'effetto del cosmopolitismo, della diffusione della dottrina islamica, della ricerca di nuovi mercati extra-europei (es. India) ma anche dal diffondersi di Associazioni di Vegetariani che sono alla ricerca di alimenti alternativi.




Proviamo però ad immaginare, se dovessimo produrre con i suddetti estratti 
il formaggio da destinare ai quasi 5 milioni di vegetariani italiani ( fonte Eurispes 2011), quante di queste coltivazioni vegetali verrebbero coinvolte nel processo di produzione degli estratti? e con quali effetti sull'impatto ambientale?
Oggi, a livello mondiale, l'attenzione verso lo "sviluppo sostenibile" è sempre più elevata!
Non è chiaro poi il metodo di estrazione utilizzato per rendere "stabile" l'enzima vegetale!

Vi è poi da considerare l'aspetto "organolettico" dei formaggi ottenuti con i suddetti estratti. Il risultato è differente a seconda della tipologie. Per formaggi con stagionatura superiore ai 20/30 gg il rischio "sapore" amaro" è elevatissimo; per non parlare del "rammollimento strutturale" (proteolisi accentuata).
Bisogna quindi saper valutare bene, l'applicazione corretta a seconda del Formaggio che si vuol produrre e delle caratteristiche organolettiche desiderate!

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Altro enzima coagulante molto diffuso è  il cosiddetto "Caglio microbico" ( spesso erroneamente indicato come caglio di origine vegetale!), è un enzima ottenuto dalla fermentazione di un fungo ( muffa) Mucor miehei che, a causa della sua attività proteolitica meno specifica,  è però utilizzabile per formaggi freschi e/o a brevissima stagionatura . E' un coagulante che costa relativamente poco, ma che da anche risultati di perdita di resa casearia considerevoli.

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La scienza oggi ha individuato degli enzimi "alternativi" che hanno però la caratteristica di conferire al formaggio, anche se stagionato, aroma e struttura, del tutto simile a quello ottenuto utilizzando il tradizionale "caglio animale".

Con diversi nomi commerciali, si individua la "Chimosina prodotta per fermentazione (CPF)" ( impropriamente indicata da alcune fonti come "caglio genetico" o " Caglio ricombinante").
Largamente diffusa nel resto dell'Europa, la Chimosina (CPF) in Italia è stata autorizzata circa 20 anni fa consentendone l'uso tranne che per i formaggi DOP. ( nel rispetto delle norme contenute nei disciplinari di produzione).
Da tempo è utilizzata da importanti produttori di formaggi, sia in Italia che all'estero, che hanno compreso i diversi vantaggi.
Si ottiene con un particolare metodo di fermentazione da organismi geneticamente modificati (Aspergillus niger var. awamori, Kluyveromyces lactis).
L'enzima ottenuto, grazie al procedimento di estrazione, NON CONTIENE alcuna traccia di OGM. Il livello di "purezza" dell'enzima è molto elevato.
Questa tipologia di "caglio" è stato approvato anche da alcune importanti Associazioni di Vegetariani ( es Royal Vegetarian Society) .
In alcuni stati ( India) la CPF viene riconosciuta anche come enzima "No animal" per il fatto che non è prodotto e non contiene alcun ingrediente di origine animale.
La fermentazione del microrganismo infatti avviene su  di un substrato vegetale.

Da non dimenticare infine anche i rischi che ancora molte persone temono nel consumare enzimi estratti di origine animale. 

http://www.italiasalute.it/Centro_Malattie.asp?Sezione=Morbo%20della%20mucca%20pazza)

La domanda da porsi allora potrebbe essere:

" Per produrre un formaggio senza caglio animale, sarebbe meglio usare un caglio vegetale, oppure un caglio per Vegetariani?"

Voi cosa ne pensate?


A presto!


martedì 4 settembre 2012

La Mozzarella: verità e ipocrisie.

Salve a tutti,

torno a scrivere dopo un lungo periodo di impegni lavorativi ...di ritorno da un breve periodo di vacanza.
Per questo argomento, prendo spunto proprio dal breve periodo di vacanza trascorso tra la Sicilia e la Puglia, terre di importanti tradizioni gastronomiche.



Tra i vari formaggi, avevo proprio desiderio di assaporare la "tipica" Mozzarella vaccina pugliese, quella fatta al mattino da consumare in giornata!




Trovandomi nella zona del barese, ho avuto occasione di assaggiarne diverse, prodotte da vari piccoli caseifici "artigianali" 
( per intenderci, quelli con laboratorio dietro e negozio fronte strada).
Entri nel negozio-caseificio e le vedi immerse in quelle cassette bianche ( o acciaio inox), sfuse, che galleggiano nel proprio latticello (liquido di governo). 
Non vedi l'ora di dare un morso ad una di loro, gustarla....





Beh, devo ammettere di aver trovato notevoli differenze l'una dall'altra, alcune molto saporite e lattiginose, altre, prodotte a pochi isolati, decisamente dure ed insipide!

Mi son detto...eppure mi trovo nella culla della Mozzarella pugliese, perché trovo così tante diversità tra un laboratorio e l'altro?
Naturalmente se chiedi ai diretti interessati ( casari) ti raccontano del buon latte e del proprio metodo "segreto". In verità solo qualcuno ti dice se, tra gli ingredienti, usa "lattoinnesto naturale" oppure "fermenti lattici selezionati" od ancora " acido citrico". Per capire, devi leggere con attenzione la lista ingredienti ( in alcuni locali tenuta ben nascosta).

Ricordatevi però, che questa tipologia di Mozzarella vaccina "artigianale", presenta le sue migliori caratteristiche organolettiche solo se consumata in giornata!
Dal giorno successivo infatti non è più la stessa cosa!

Devo anche dirvi che NON ho avuto occasione di imbattermi sulle famigerate Mozzarelle "blu", anche se alcuni laboratori, purtroppo, non presentavano condizioni igieniche "esemplari".
Erano  tutte "troppo fresche" per presentare il difetto!




Riferendomi agli argomenti sopra citati, voglio allora riportarvi integralmente due recenti articoli redatti da Il Fatto Alimentare   http://www.ilfattoalimentare.it/

che affrontano le problematiche menzionate e che ci fanno capire come stanno le cose nel mondo della Mozzarella. Condivido quanto riportato.


(da il Fatto Alimentare 22 luglio 2012)

 

I segreti della mozzarella sono quattro ingredienti. 

Il test di Altroconsumo promuove 15 campioni su 17


Il 95% degli italiani consuma almeno una volta al mese una mozzarella, in genere, di latte vaccino. Nonostante la capillare diffusione del prodotto, pochi lo conoscono veramente perché solo una parte dei caseifici segue lo schema classico di lavorazione e utilizza i quattro ingredienti canonici: latte, fermenti, caglio e sale. Il consumatore quando si reca al supermercato trova sugli scaffali 5-6 tipi di mozzarelle vendute a prezzi variabili da 5 a 14 €/kg e fatica a capire le differenze. Per orientarsi viene in aiuto un test analitico, messo a punto all'inizio del 2010, da Michele Faccia insieme ad Aldo Di Luccia  della facoltà di Agraria dell'Università di Bari. Il sistema permette di capire se il produttore usa al posto del latte fresco una cagliata refrigerata o congelata (semilavorato ottenuto sempre da latte, ma meno costoso perché prodotto in paesi molto più competitivi, e che presenta anche il vantaggio di ridurre i tempi e i costi di lavorazione).

La normativa vigente purtroppo non obbliga le aziende a riportare sulle etichette l’indicazione di origine delle materie prime e nemmeno l'obbligo di precisare l'impiego di cagliate. 

 La vera mozzarella. Lo schema classico di produzione prevede l’aggiunta al latte vaccino di fermenti lattici, in modo da creare un ambiente acido, e del caglio ricavato dallo stomaco dei bovini per ottenere la cagliata. Dopo questa prima fase la cagliata riposa per 3-4 ore, lasciando così il tempo ai fermenti di agire. La seconda fase prevede l’aggiunta del sale e l’impasto in acqua bollente (la “filatura”) in modo da trasformare la cagliata in mozzarella. L'ultima operazione è il raffreddamento seguito dal confezionamento.



I costi di questo sistema tradizionale sono elevati per via dei tempi morti durante la lavorazione e dell'impiego di latte fresco. Per produrre un chilo di mozzarella servono 7/8 litri di latte fresco e il caseificio deve essere dotato di un sistema di raccolta e di refrigerazione. La qualità finale dipende dalla bontà del latte e dai fermenti che determinano aroma e sapore. Queste mozzarelle si riconoscono perché sull’etichetta compaiono solo quattro ingredienti: latte, fermenti lattici, caglio e sale. I costi di produzione oscillano da 6 a 7 €/kg che raddoppiano al dettaglio. 

La mozzarella fast. Quando nel corso della produzione i fermenti lattici vengono sostituiti totalmente o in buona parte con acido citrico o acido lattico tutto diventa più semplice e, soprattutto, più rapido, perché si salta la fermentazione. C'è però un inconveniente, se l'azione dei fermenti lattici è ridotta, alla fine il formaggio ha meno sapore e si cerca di rimediare con maggiori quantità di sale. Si stima che la metà dei produttori utilizzi acido lattico e acido citrico per ridurre tempi e costi. La mozzarella fast si riconosce perché nell'elenco degli ingredienti normalmente si trova la dicitura: "correttore di acidità: acido citrico e/o acido lattico". Il costo di produzione oscilla da 4,5 a 5 €/kg, che raddoppia al supermercato. 

La mozzarella senza latte esiste. Basta trasferire la cagliata congelata o refrigerata in acqua calda, aggiungere sale e, se necessario, un pizzico di acido citrico, filare l’impasto e infine
raffreddare e confezionare.



Il sistema è molto rapido, non serve il latte e i costi di produzione oscillano da 3,0 a 4,0 €/kg, che raddoppiano nel listino al dettaglio.  Il prodotto non ha il sapore tipico di fresco, il colore può tendere maggiormente al giallo (ma attenzione, perchè questo non è di per sé un aspetto negativo), la struttura è meno “succosa” e, se si usa cagliata conservata da molto tempo, la mozzarella ha più il sapore del formaggio che non di latte fresco. Sull’etichetta dovrebbero essere indicati i seguenti ingredienti: "cagliata, acqua, sale, - seguiti dagli additivi: - acido citrico, lattico e, se presente, sorbato di potassio". Tuttavia, poiché la legge non obbliga ad indicare il termine “cagliata”, raramente questa parola compare tra le diciture in etichetta. 

Le mozzarelle pizzeria (vere e finte) hanno tutte la forma di parallelepipedo e sono utilizzate da molti pizzaioli perché contengono meno acqua. Quelle finte sono ottenute con cagliate refrigerate o congelate, miscelate con proteine del latte in polvere e in qualche caso con formaggio fuso e costano meno per via degli ingredienti meno pregiati. 


Il vantaggio è che quando  la temperatura della pizza scende sotto i 50°C, la finta mozzarella pizzeria fila ancora e questo aspetto è molto apprezzato dai clienti. Per evitare problemi legali sulle etichette non compare la parola mozzarella, ma solo nomi di fantasia come “pizzetto”, “pizzottelo”, “pizza  fast”, “pronto pizza”… Attenzione però perchè in vendita ci sono anche marche famose che propongono vera mozzarella pizzeria a forma di parallelepipedo (dall'aspetto più asciutto rispetto a quella tipica ottenuta solo da latte e fermenti). Quindi non sempre la forma rettangolare equivale alle finte mozzarelle. 


Di fronte a tanta confusione è necessario ridefinire le categorie merceologiche e stabilire che la mozzarella vera si fa in un solo modo. Gli altri tipi di formaggio a pasta filata, che costano meno e rappresentano il 50% del mercato, possono essere tranquillamente commercializzati ma devono essere classificati in altri modi.

Un test pubblicato nel giugno 2011  dalla rivista Altroconsumo su 17 mozzarelle di latte vaccino, confermava l'esistenza di un buon livello igienico e nella prova del gusto dà un giudizio accettabile a quasi tutti i campioni. Ai primi posti Valtenera dei supermercati In's, seguita da Granarolo, Conad e Land dei supermercati Eurospin. Negativo il parere sul sapore di Sole e Galbani Santa Lucia.

Roberto La Pira
Foto: Photos.com



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(da il Fatto Alimentare 10 maggio 2012)

 

Milano: la mozzarella blu arriva in mensa, e scoppia il panico, ma non ci sono pericoli per la salute. Il parere dell'esperto


Ieri in una scuola milanese è stata servita mozzarella con una colorazione bluastra. Tra gli insegnanti c'è stato qualche momento di panico, ma si tratta di un problema abbastanza diffuso che si ripete regolarmente ogni mese in diversi caseifici.
Basta ricordare che il 2012 è iniziato con un’ondata di sequestri in Ciociaria e quello di Milano è solo l'ultimo episodio.

Una cosa deve essere chiara, la pigmentazione blu non indica la presenza di batteri pericolosi e non è collegata alla qualità della materia prima. Purtroppo gli esperti ancora non sono riusciti a trovare un sistema per prevenire la colorazione che si ripresenta puntualmente. Ecco cosa scrivevamo due mesi fa in una nota che risulta di estrema attualità. 

Il colore è dato da batteri del genere Pseudomonas fluorescens e segnala un decadimento qualitativo del prodotto che, perciò, deve essere ritirato dagli scaffali a causa dell'insufficiente attenzione delle condizioni igieniche-microbiologiche.

Ma quali sono 
le caratteristiche del batterio? Ce lo spiega Giorgio Varisco, direttore sanitario dell'Istituto zooprofilattico sperimentale della Lombardia e dell'Emilia Romagna di Brescia. Dove, dal 2010 a oggi, sono stati effettuati circa 200 controlli su campioni sospetti. «Lo Pseudomonas fluorescens è un batterio largamente diffuso in natura, in particolare nel suolo, nelle acque superficiali e nella vegetazione. Condivide con le altre decine di specie della famigliaPseudomonas la capacità di adattarsi bene a varie situazioni ambientali e solo quando si trova in determinate condizioni può - o meglio, alcune delle specie note possono - produrre pigmenti che causano colorazioni anomale nei cibi.

Tra gli "alimenti-veicolo" del microrganismo ci sono l’acqua, il latte, i vegetali e la carne, ma in realtà lo si trova un po' dappertutto: non può essere pertanto considerato un patogeno “nuovo” o “emergente”, ossia che dà origine a contaminazioni che in precedenza non si sono mai verificate o in matrici che non venivano considerate a rischio per quel determinato microrganismo».

Il responsabile del poco gradito colore blu non è dunque un soggetto sconosciuto; al contrario, è molto noto e si sa anche che non ha conseguenze sulla salute: causa solamente alterazioni dal punto di vista organolettico negli alimenti e strane colorazioni rendendo il cibo inutilizzabile. Ma se lo Pseudomonas  è ubiquitario e si trova in molti alimenti, come mai si sono registrati tanti casi in diverse regioni italiane proprio nelle mozzarelle?

Spiega Varisco: «In realtà il problema è stato rilevato anche su altri formaggi sia a pasta filata che di altra tipologia, e più in generale può riguardare anche carne, pesce, vegetali. Non tutti i ceppi di Pseudomonas fluorescens sono però pigmentanti: perciò questi batteri possono essere presenti anche in concentrazioni elevate senza che ci sia alterazione nel colore del cibo.

Per quanto 
riguarda la filiera del latte, lo Pseudomonas può entrare quando la materia prima utilizzata (latte o semilavorati caseari) è contaminata, oppure attraverso le acque utilizzate nel processo industriale durante le fasi di raffreddamento/rassodamento del prodotto o nella preparazione dei liquidi di governo, o, ancora, in seguito alla contaminazione dei locali di lavorazione. Il microrganismo è in grado di formare un sottilissimo strato di biofilm sulle superficie e sopporta bene anche le basse temperature, alle quali è comunque in grado di moltiplicarsi».

Come spesso accade quando scoppia una crisi come quella della mozzarella blu in Germania e poi in Italia, si è preso spunto dallo scandalo per approfondire le relazioni e le interazioni della coppia Pseudomonas/mozzarella. «Il nostro istituto - continua Varisco - ha verificato se gli Pseudomonas isolati nei campioni di mozzarella colorata avevano la stessa origine o se si trattava di episodi isolati. Gli studi eseguiti hanno dimostrato che esisteva una sorta di correlazione geografica, per cui gli episodi riscontrati in una determinata zona erano causati da microrganismi simili. Non si è riscontrato alcun collegamento fra gli episodi di colorazione avvenuti in località distanti fra loro».


Le conclusioni che si possono trarre dalla vicenda è che le contaminazioni sono occasionali, che l’origine è ancora incerta, che non ci sono pericoli per l’organismo e che si potranno ripresentare dei casi simili. Non è quindi il caso di creare allarmismi inutili, ma è opportuno esaminare i vari episodi e approfondire gli studi per contribuire ad aumentare la sicurezza.

Agnese Codignola 

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A presto!